lunedì 17 maggio 2010

La sfida delle primarie

Dopo il bell'articolo di Sergio D'Angelo e Marco Rossi Doria su Repubblica – Napoli di venerdì 14 maggio e la ripresa dello stesso tema da parte di Giovanni Laino nel giornale di domenica 16, sembra aprirsi finalmente lo spazio per una discussione, si spera fruttuosa, sulla ineludibile necessità di organizzare delle consultazioni primarie per la scelta del futuro candidato del centro-sinistra alla carica di Sindaco di Napoli, e sui criteri che tale consultazione dovrà far propri. Trovo estremamente interessante come, in questi primi interventi, tutti abbiano espresso l'esigenza di sottrarre questa scelta alle logiche lobbistiche di tutti i partiti che in questi anni hanno (mal)governato la città, dando una prova poco convincente della propria efficienza amministrativa nella gestione della macchina comunale. Forse è arrivato veramente il momento che questi ceti politici, evitando, se possibile, trasformismi dell'ultima ora, si facciano discretamente da parte, prendendo atto del proprio fallimento, per lasciare che la città finalmente “si riprenda la parola”. In primis quella “società civile organizzata” che in questi anni ha mostrato una sana insofferenza verso le forme che la politica andava assumendo nella nostra città, impegnandosi a organizzare la cittadinanza in battaglie per una diversa qualità della vita e dell'ambiente, prefigurando in questo modo un diverso modo di concepire “dal basso” la partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica. Bisogna perseverare su questa strada, cercando di dar forma nella nostra città a un nuovo protagonismo dei cittadini e a forme di rappresentanza che a questo protagonismo vengano continuamente ricondotte. Bisogna cercare di costruire le condizioni perchè nasca quella spinta ideale che nelle ultime elezioni regionali si è espressa, oltre i partiti e forse oltre la sinistra, nella candidatura di Nichi Vendola, che non a caso al protagonismo dei cittadini ha fatto continuamente riferimento.
Per questo mi sembra poco convincente uno dei profili del candidato tipo a Sindaco di Napoli che Giovanni Laino ipotizza nel suo articolo di domenica: costui dovrebbe essere “persona capace di attrarre il consenso dei settori moderati della società”, rinunciando per questo, almeno al primo turno, al voto degli elettori che in passato hanno fatto riferimento alla sinistra radicale. L'esperienza di questi anni ci ha insegnato come la continua rincorsa dei settori moderati non abbia mai veramente portato la sinistra all'incasso elettorale. L'esperienza pugliese diversamente forse ci ha insegnato come i settori moderati siano portati a “saltare lo steccato”, quando si trovano in presenza di una candidatura realmente in grado di rompere la continuità con le forme tradizionali dell'ormai consumata offerta politica del nostro paese, senza aver paura di mischiare i propri voti a quelli degli ex-elettori della sinistra radicale... Specialmente in un momento politico come quello che viviamo: quando anche nell'elettorato di destra, a seguito delle continue inchieste della magistratura contro esponenti del Governo, prende piede la disillusione e il risentimento verso la casta.
La costruzione di un nuovo centro-sinistra a Napoli, con un possibile candidato Sindaco in grado di reggere la sfida con un candidato di destra, non è compito facile: sarà possibile se verranno individuate forme organizzative oltre i partiti e soprattutto se si aprirà una nuova stagione di partecipazione dei cittadini napoletani alla formazione delle decisioni politiche. Se le reti di cittadinanza presenti sul territorio si porranno il problema di una propria rappresentanza, non avendo paura di confrontarsi con il problema del governo della città. Le primarie per la scelta del candidato a Sindaco, se correttamente impostate, potrebbero forse contribuire all'apertura di questo processo.

martedì 15 dicembre 2009

Predellino 2 ovvero il corpo del capo

La capacità di Berlusconi di sfruttare mediaticamente ogni avvenimento è veramente straordinaria... una dote naturale e istintiva rispetto a cui noi “di sinistra” non siamo minimamente in grado di reagire, restando inebetiti a "guardare" e a subire gli avvenimenti...
Stupiti e incantati da tanta maestria, riusciamo raramente a produrre gesti e parole efficaci o all'altezza della situazione. Mentre lui non sbaglia un colpo! Nelle sue mani – hegelianamente – ogni negativo diventa sempre positivo.
Tutti si aspettavano il predellino 2...ed eccolo arrivato! Dopo l'aggressione di Milano, il Cavaliere trova la forza di uscire dall'automobile e salire sul predellino per cercare gli occhi dell'attentatore e così facendo espone il suo corpo – il Corpo del Capo – che questa volta non è più corpo della seduzione o moneta-corpo o corpo-progetto, ma si mostra nell'inedita versione di Corpo-del-martirio...Quello che appunto in questo momento serve maggiormente a Berlusconi: esprimere a livello “simbolico” la sua posizione di “vittima” dell'azione dei giudici e di tutti i suoi vari persecutori. Tutto questo dopo che il popolo viola prima e l'iniziativa di Casini dopo erano riusciti per un momento a confinarlo nell'angolo.
Rieccolo ora di nuovo al centro del ring con qualche arma in più per controbattere alle argomentazioni degli avversari politici.
Berlusconi è veramente geniale nello sfruttare tutte le situazioni, anche le più spiacevoli per lui.
Tanto di cappello e auguri di pronta guarigione!

sabato 3 maggio 2008

La prospettiva del '68: quello che ci resta...

Nei primi anni '80 l'allora celebre gruppo teatrale dei Magazzini Criminali, proclamò un po' enfaticamente la propria appartenenza alla vera e unica gioventù bruciata del XX secolo: quella, per intenderci, troppo giovane per il '68, troppo vecchia per il '77.
Anche io mi sono sentito a lungo parte di questa generazione che, tradita dalla propria giovane età, non è riuscita a vivere del tutto pienamente la più entusiasmante delle esperienze che poteva allora cadere in sorte ad un giovane dei favolosi anni '60, condannato così a portarsi dietro il rimorso cocente per un'occasione solo sfiorata:... inutilmente andata persa. Spettatori ancora ingenui delle grida che echeggiavano nelle strade, nelle scuole e nelle università, siamo cresciuti poi con un preciso imprinting, che ci ha portati, con i nostri eskimo e le nostre barbe lunghe, a “militare”- come si diceva allora - nei movimenti studenteschi degli anni '70 in nome di quell' annus mirabilis che sicuramente sarebbe tornato di lì a poco e che questa volta sicuramente ci avrebbe trovati pronti.
Per questo molti di noi mercoledì scorso si sono ritrovati al PAN , dove si è svolto l'incontro, in forma di Assemblea, “La prospettiva del '68 quarant'anni dopo”, voluta dall'Associazione Paola, Mario ed Ettore de Martino. Nel corso della discussione a un certo punto qualcuno diceva come in questi giorni - con i risultati delle elezioni politiche che hanno dato una così schiacciante vittoria alla Destra - si sia probabilmente chiuso quel ciclo storico che il '68 aveva aperto, con la piena sconfitta di tutte quelle speranze che avevano infiammato allora le piazze di Praga, Parigi e Napoli. E' proprio così? - mi sono chiesto... Anche oggi, così come dopo la “nostra” rivoluzione napoletana del 1799, ci troveremmo tra le mani - ancora una volta! - il solito “ resto di niente” ? D'altra parte un anno fa la vittoria in Francia della Destra di Sarkozy sembrava proprio legittimare, a quarant'anni dal '68, la conclamata volontà di tagliare tutti i ponti con quest'esperienza i cui eredi, secondo il premier francese, avrebbero addirittura determinato il divorzio tra la morale e la politica. E ora, per finire, ecco che a qualche mese di distanza, i risultati di Roma e Londra sembrerebbero avvalorare questa linea di tendenza che a questo punto ci invita ad interrogarci se esista ancora una qualche eredità del '68 spendibile per le generazioni future.
Sono andato così a rileggere alcune pagine di un'autrice che i giovani sessantottini lessero poco e che invece – come ricorda spesso Cohn Bendit – avrebbero dovuto leggere con maggior profitto e attenzione: Hannah Arendt, studiosa del totalitarismo novecentesco.
In uno smilzo libricino, Sulla violenza, pubblicato nel '69, Hannah parla di quegli anni ed evidenzia quello che per lei risulta essere stato l'elemento sostanziale della rivolta studentesca: “La richiesta di una democrazia partecipativa che è riecheggiata in tutto il mondo e rappresenta il comune denominatore più significativo delle rivolte dell'est e dell'ovest deriva dal meglio della tradizione rivoluzionaria fin dal XVIII secolo. Ma nessun riferimento a questo obiettivo, né a parole né nella sostanza, si può trovare negli insegnamenti di Marx e Lenin che al contrario miravano entrambi a una società nella quale il bisogno di azione pubblica e di partecipazione agli affari pubblici sarebbe dovuta scomparire assieme allo Stato”. L'azione del movimento studentesco – ricorda ancora la Arendt – mette in discussione con la sua azione quel modello di democrazia rappresentativa che sta perdendo progressivamente ogni valore “a vantaggio dei grandi e complessi apparati di partito che non rappresentano tanto gli iscritti ma i funzionari di partito”.
Sembra in queste frasi risuonare la critica “antipolitica ” - o piuttosto impolitica! - di questi giorni, la stessa preoccupazione per un modello di democrazia che sembra aver esaurito ogni sua funzione e che – da solo – è destinato a non reggere più le sfide di una società complessa e transnazionale come quella odierna in cui ci è dato vivere. Risuona ancora la critica per un modello di politica che si rivolge esclusivamente ad un cittadino spettatore, piuttosto che attore e decisore, e che ci spinge a tratteggiare con urgenza le linee guida di una democrazia a venire più che mai necessaria. Problemi questi che tutte le classi dirigenti europee – siano esse di destra o di sinistra - si troveranno inevitabilmente nei prossimi anni a fronteggiare!
Quello che pertanto il movimento del '68 ci consegna come compito ineludibile è di cercare la forma di questa nuova democrazia, mettendo in pratica quella nuova concezione della politica che Hannah Arendt ha espresso con queste straordinarie parole: “Ciò che rende l'uomo un essere politico è la sua facoltà di agire; gli consente di riunirsi con i suoi simili,di agire di concerto e di raggiungere obiettivi e realizzare imprese che non gli sarebbero mai venute in mente, per non parlare delle aspirazioni del suo cuore, se non gli fosse stato dato questo dono: imbarcarsi in qualcosa di nuovo. Filosoficamente parlando agire è la risposta umana alla condizione di essere nato”.
Proprio quello che avvenne, per un giorno, nel 1968!

giovedì 17 aprile 2008

Qualche riflessione "neo-marxista" sulla questione settentrionale

Da quanto tempo sentiamo parlare in Italia di “Questione settentrionale”..., da quanti anni leggiamo analisi sociologiche ed economiche sulla nuova realtà del Nord-est, sul popolo delle partite IVA, sulla nuova composizione sociale post-fordista. Tutto invano! L'accumulo di tanta scienza non ha determinato alcun mutamento di rilievo delle politiche della Sinistra (parliamo qui per intenderci sia di quella riformista che di quella radicale). Questa – come dichiara Daniele Marini della Fondazione Nord-Est sul Corriere del 16 aprile “applica categorie vecchie, tipiche del marxismo applicato al fordismo, con una contrapposizione tra capitale e lavoro, borghesia e lavoratori dipendenti, che qui nel Nord-Est non esiste....il 58% degli imprenditori del nord-est, secondo i dati sono ex-operai. E' una società laburista, dove il lavoro è un orizzonte di vita”. Risultato: oggi gli operai al Nord, quelli iscritti al sindacato ma anche quelli senza tessera, votano per la Lega che può così annunciare, forse con qualche ragione, di essere il nuovo partito dei lavoratori.
Eppure un marxismo in grado di leggere i processi sociali in atto l'abbiamo avuto in Italia: erano gli anni '60 e giovani intellettuali dalle pagine dei “Quaderni rossi” e poi di “Classe operaia” leggevano i comportamenti e le pratiche delle nuove figure legate alla nuova composizione sociale che andava allora emergendo a seguito del boom economico e dell'introduzione di sistemi di fabbrica neo-tayloristici. Sergio Bologna era uno di questi giovani studiosi, come si diceva in quegli anni lontani, “neo-marxista”, perché le categorie interpretative che venivano applicate risultavano nel complesso poco gramsciane, al fondo radicalmente eterodosse: ci si sporcava le mani con gli strumenti della sociologia, si faceva “inchiesta operaia”, calandosi nelle situazioni concrete di vita e di esperienza delle contraddizioni, buttando a mare teoremi insopportabilmente ideologici tipici – anche allora! - della sinistra tradizionale. Un pensiero, intendiamoci, politicamente il più delle volte "pericoloso" e per me - oggi come allora - al fondo inaccettabile... Quanto ricco però di conoscenza e di coraggiosi apporti interpretativi dei diversi mutamenti sociali in atto! Ho trovato sul “Manifesto” un articolo di Bologna sulla "Questione settentrionale" e vorrei citarne alcuni passi che mi sembrano illuminanti: “bisogna creare – scrive Bologna - una forte, fortissima ipotesi interpretativa delle trasformazioni sociali e delle mentalità, che non sia “esterna” ai ceti creati dal post-fordismo ma “interna”. Cioè agli imprenditori, al lavoro autonomo di seconda generazione, ai giovani sballottati tra mille lavori precari, agli sfigati delle praterie urbane che sognano di fare i carabinieri dei corpi speciali. Un'ipotesi radicata nei comportamenti sociali, non nelle scuole politologiche, che assuma verso l'insofferenza del popolo cattolico del nord, un atteggiamento di “voler capire”, di voler scoprire in che modo sono condivisibili sue ragioni e quali altre soluzioni di convivenza civile – ma anche di lotta, diamine! - la nostra cultura può offrire. Così a mio avviso si affronta la “questione settentrionale”. L'articolo - pensate un pò - data 4 maggio 1996 – dodici anni fa! - e continua introducendo ulteriori argomenti: “Il federalismo è una parola vuota, un palliativo, un escamotage. La radicalità dell'avversione allo “stile romano” consiste nel fatto che questa gente – e come darle torto? - non crede più ad una riforma della pubblica amministrazione fatta con lo stesso personale umano di quello attuale. (Voi credereste a una riforma dell'Università fatta dai professori universitari?). Da qui l'idea che l'unica soluzione possibile sia la costituzione di una nuova pubblica amministrazione, cioè di un nuovo stato
Queste cose Bologna le scriveva dodici anni fa...Dodici anni persi dalla Sinistra che nel frattempo è rimasta ferma ad aspettare: immobilizzata ingenuamente dallo sguardo della medusa berlusconiana! Mi chiedo se non sia arrivato finalmente il momento di svegliarsi, di cambiare strada ...

sabato 5 aprile 2008

L'occasione sciupata dalla Sinistra Arcobaleno

All'inizio della campagna elettorale avevo ben chiaro che, anche questa volta, avrei finito col votare...Comunque fossero andate le cose, il 13 e il 14 aprile avrei posto la mia scheda nell'urna per contrastare per un'ennesima e ultima volta, cinque anni di governo Berlusconi, questa volta con un'ulteriore probabile aggiunta di sette anni di Presidenza della Repubblica. Ero abbastanza deciso a premiare la Sinistra Arcobaleno, perlomeno alla Camera...; oggi però, anche se continuo ad essere convinto della necessità di non disertare l'appuntamento elettorale - ...troppo bene conosco i terribili patimenti&pentimenti del giorno dopo! -, ho molti più dubbi sulla scelta del simbolo su cui apporre il fatidico segno. A favore del voto per la Sinistra Arcobaleno pesavano alcune considerazioni legate alla situazione locale, la più importante della quale era sicuramente il ruolo svolto dal senatore Sodano nel denunciare la gestione dei rifiuti nella nostra regione. Quest'azione mi sembrava “assolvere” - anche se molto parzialmente - la Sinistra radicale dalle più ampie responsabilità attribuibili pienamente invece alla classe dirigente del Partito Democratico. Contava poi nella scelta, una considerazione di ordine politico più generale: nel nostro paese si apriva improvvisamente uno spazio per una nuova sinistra capace di abbandonare definitivamente ideologismi ottocenteschi, certezze granitiche espresse in deplorevoli “senza se e senza ma”, pratiche “istituzionali” il più delle volte simili a quelle dei partiti tradizionali. Questa nuova sinistra, con ambizioni maggioritarie, aprendo un vero processo costituente con associazioni, movimenti, società civile organizzata, avrebbe dato finalmente una prospettiva convincente a quella vasta parte dell'elettorato di sinistra - in cui io stesso mi riconoscevo - non ancora conquistato dalla “sirena” democratica. Mettendo da parte timidezze e inutili sensi di appartenenza, forse avrebbe così evitato di restare schiacciata dal ricatto del “voto utile”.
Nella discussione sul suo blog Marco Rossi Doria ha delineato con parole misurate alcune caratteristiche di questa ipotetica nuova sinistra che potrebbe diventare “un luogo aperto, meno liberista del Pd, più solidale, capace di fantasia propositiva di tipo alternativo”, esprimendo “un riformismo radicale fatto di azioni pacifiche e diffuse”, superando le sue caratteristiche “decisionistiche e poco partecipative”, “il suo protezionismo contrario per principio a un po' di concorrenza vera”. Parole molto sagge e condivisibili: come “cittadino attivo” spesso purtoppo ho fatto i conti e ho toccato con mano alcuni di questi difetti che penso abbiano contribuito non poco al decadimento della nostra città. E ancora potrei aggiungere oggi:... una sinistra che sostenga senza indugi e senza compromessi - ma anche senza stantii anticlericalismi - quei valori di laicità che devono essere alla base di ogni stato di diritto. Una sinistra capace di fare i conti realisticamente con la nuova composizione sociale che la rivoluzione post-fordista ha prodotto, facendo quello che gruppi come i “Quaderni Rossi”, con intelligenza, cultura, voglia di capire il nuovo, fecero negli anni '60, cogliendo allora i grandi cambiamenti in atto legato alla figura dell'operaio-massa.
Dopo l'incredibile discussione falce&martello-si falce&martello-no, ho partecipato all'apertura della campagna elettorale al Cinema Modernissimo, con la proiezione del film “La signorina Elsa”. Ho trovato ben altro clima di quello che mi aspettavo: una riflessione dolorosa e nostalgica sulla sconfitta alla FIAT dei primi anni '80, la cui onda lunga arriverebbe fino ai giorni nostri, con il tentativo di far scomparire la Sinistra da questo paese, aggiungendo alla sconfitta “sociale” di un ventennio fa la definitiva sconfitta “politica”. Nel prosieguo della campagna elettorale ho stentato a cogliere un linguaggio nuovo e nuovi contenuti: ho sentito Bertinotti difendere la legittimità delle occupazioni di case, guardare con interesse alla proposta di Berlusconi di una cordata italiana per salvare l'Alitalia; ho letto che gruppi di Rifondazione hanno contestato i comizi di Ferrara, cadendo così nella sua trappola. Mi è parsa questa una politica minoritaria, di una sinistra tutta ripiegata su se stessa, nel fondo inutilmente conservatrice, abituata a guardare indietro a tutto ciò che è avvenuto nel passato. Una sinistra che, davanti alle macerie della Storia, piuttosto che farsi spingere verso il futuro dalla tempesta proveniente dal Paradiso - come accade all'Angelo di Benjamin -, si lascia piuttosto risucchiare dalle macerie del passato.
Continuo a pensare che in Europa e in Italia ci sia bisogno di una forza di nuova sinistra moderna e con vocazione maggioritaria. Dubito a questo punto che la Sinistra Arcobaleno sia all'altezza di questo compito.
Un'occasione preziosa è andata persa. Pertanto mi preparo ad otturarmi il naso....


venerdì 28 marzo 2008

Timori&tremori per Tremonti

Come gongolava lo scorso mercoledì, nello studio dell'Infedele, l'autore della “finanza creativa”... Il fantasista delle “cartolarizzazioni”... Il professor Giulio Tremonti!
Sorbiva con gusto e soddisfazione i giudizi lusinghieri, di Gad Lerner e dei suoi ospiti, sulla sua ultima fatica “La paura e la speranza” e non sembrava ombroso o corrucciato come al solito; la sua erre, ben arrotata, scivolava senza difficoltà tra una sillaba e l'altra... e il timbro della voce risultava meno acuto del solito: più caldo e profondo!
Tra i presenti, Michele Salvati (uno dei fondatori del Partito Democratico), Christian Marazzi (economista di riferimento dell'area no-global vicina a Toni Negri) e Aldo Bonomi (pupillo di De Rita e teorico della "società di mezzo"), non lesinavano complimenti....E il Nostro tremava quasi dalla felicità, sentendosi finalmente accettato come interlocutore credibile in uno dei più accreditati “salotti buoni” della sinistra: quelli in cui gli esponenti di destra dicono di esser trattati quasi sempre con supponenza e spirito di superiorità... Questa volta no! Il clima era totalmente diverso! Da oggi anche la Destra ha finalmente un intellettuale teo-con di spessore, con cui è possibile confrontarsi: Giulio Tremonti! Il Cavaliere no-global! Come immaginificamente quel sornione di Gad aveva titolato la puntata ...
A un certo punto però il Cavaliere no-global-teo-con si è stizzito, come usa fare talvolta negli studi televisivi, e la sua voce è tornata ad essere acuta e stridente, perchè Salvati ha osato definire il suo libro un pamphlet. “Ecco...ci risiamo – avrà pensato – i soliti comunisti detrattori e doppiogiochisti...” Quando però il teorico del Partito Democratico, di fronte alle sue proteste, ha ribattuto che reputa anche il “Manifesto del Partito Comunista” un pamphlet, si è prontamente tranquillizzato, ritornando a sfoggiare un insolito aplomb. “Bhè......se è così”, ha affermato bonariamente, ritenendo a quel punto sufficientemente gratificante il paragone con il filosofo di Treviri!
Dunque: da quello che si è capito Tremonti si differenzia da Marx in questo: sempre uno spettro si aggira per l'Europa, ma questa volta è quello della globalizzazione! E' uno spettro che provoca inquietanti timori&tremori nell'animo sensibile di una così bella mente. In particolare l'incarnazione malefica della globalizzazione per il nostro bel cavaliere va individuata ancora una volta nel famigerato drago cinese contro cui il nostro eroe, “lancia in resta”, parte all'avventura. L'ingresso della Cina nel WTO (voluto dal solito Prodi) ha aperto uno scenario inquietante: tre miliardi di popolazione famelica del Sud-est asiatico accampa ora un diritto al consumo che sta facendo lievitare i prezzi delle merci in tutto il mondo e, ahimè, il “povero” Occidente ne paga le conseguenze con l'inflazione... E poi, suvvia...! Non vedete quanto inquinano questi orientali? Se si mettono a produrre anche loro, ne va della salute complessiva del pianeta!
Insomma bisogna fermarsi!
...Però non noi!
...Loro!
Insomma: è vero che negli anni scorsi li abbiamo spinti a fare come noi...
Ma forse ci hanno presi troppo in parola, facendo tutto troppo velocemente!
Contrordine, allora: un po' di decrescita alla Latouche va bene per voi, che siete cresciuti troppo!
Noi occidentali, che abbiamo più “misura”, continuiamo sulla nostra strada!
Il problema è che questi cinesi-gremlins appaiono non proprio mansueti e rispettosi delle buone maniere occidentali...Per fortuna nostra però la creatività dell'ex-Ministro dell'economia da un po' di tempo non si applica solo alla finanza...Ha capito che l'economia da sola ora non può far nulla: il primato deve tornare alla politica... e dai timori&tremori si potrà agevolmente e con un po' di fiducia passare alla speranza. Come? Prima di tutto tornando ai Valori. Quelli con la V maiuscola: Dio, Patria, Famiglia... Si, proprio quelli del periodo della Restaurazione di due secoli fa... Poi bisogna fare del Parlamento europeo non un organo puramente consultivo ma un organo legiferante. E' necessaria, a seguire, una nuova Bretton Woods (presumibilmente convocata dal Ministro dell'Economia del prossimo governo Berlusconi). E soprattutto: la mattina in tutte le scuole si faccia l'alzabandiera e si cantino gli inni (nazionale, europeo o padano, non importa). Ma che si canti! Così sicuramente passerà la paura e la cattiva globalizzazione verrà sconfitta!
Bisogna ammetterlo: il Cavaliere no-global non è ancora arrivato alle altezze teoriche del pamphlet di Marx ed Engels, ma oramai ci manca poco! Mi chiedo come mai la sinistra non riesca più ad avere cervelli come questi!!! Corro al galoppo in libreria a comprare il libro del bel cavaliere no-global!

venerdì 14 marzo 2008

Siamo tutti colpevoli! (Ovvero la notte in cui tutte le vacche sono nere)

C'è un passaggio della puntata di Report di domenica scorsa sui rifiuti tossici che mi ha fatto gelare il sangue nelle vene. E' di scena una signora, addobbata con una vistosa acconciatura bionda, dalle floride forme a stento trattenute da capi di abbigliamento crudelmente e inutilmente di una misura più stretta... Il giornalista le chiede perchè fino ad ora non ha denunciato alle autorità competenti l'inquietante presenza davanti alla sua abitazione di una montagnola di rifiuti tossici che - senza un telo di protezione,... lasciata al vento e all'intemperie - si starà presumibilmente posando sui mobili della sua casa,
... avvelenando l'aria che la sua famiglia abitualmente respira,
... contagiando i cibi ingeriti,
... mettendo a repentaglio la salute di tutti i suoi cari.
La donna balbetta....
...non sa che rispondere.

...Si capisce che in quel momento vorrebbe fuggire via...
... E tutti noi vorremmo fuggire via insieme con lei, perchè quelle domande che la inchiodano alla sua inerzia e alla sua passività, trapassano e feriscono a morte anche la nostra capacità di sopportazione, i goffi tentativi di giustificazione che ciascuno di noi, in cuor suo, ha tentato di elaborare in queste nostre settimane di “passione”.
Diciamola tutta: di fronte all'accusa che noi campani - pronti a scendere in piazza per evitare l'apertura delle discariche e la costruzione dei termovalorizzatori - non avremmo poi fatto niente di niente per evitare che la nostra terra divenisse la cloaca di tutti i rifiuti tossici d'Italia, il più delle volte non abbiamo trovato le parole per ribattere, preferendo il silenzio. Quando abbiamo risposto - l'ho fatto anche io nel mio primo post...! -, abbiamo utilizzato la classica frase dei popoli pavidi, condannati a vivere in quella che efficacemente Primo Levi definisce “la zona grigia”: NOI NON SAPEVAMO!
Ma come si fa - ci hanno detto le immagini di Report - a non aver visto ciò che è invece indubiltabilmente era sotto i nostri gli occhi? Come si fa a non aver visto ciò su cui ogni mattina, per giorni e forse per mesi, è caduto il nostro sguardo uscendo dal portone della nostra casa? E - ancora - come si fa ad accettare che, accanto a serie infinite di cumuli inquinanti, “nostri” contadini abbiano continuato (e continuino) a coltivare pomodori e ortaggi destinati ad arrivare sulle nostre tavole, incuranti dei danni che ne possono derivare?
Dunque alla fine siamo tutti colpevoli!
Tutti responsabili dello scempio ambientale ed umano che in questi anni si è perpetrato sulle nostre terre!
Tutti colpevoli!
Non solo i governanti,
gli amministratori,
i partiti,
i consulenti,
le società miste,
gli affaristi,
i controllori che non hanno controllato,
la stampa che non ha denunciato,
“il sistema” che ha lucrato
...ma anche i cittadini tutti.
Noi che non abbiamo fatto nulla perchè tutto ciò potesse non accadere.
Ce lo ricordava qualche giorno fa sulle pagine di Repubblica Gherardo Colombo, in buona compagnia con Alex Zanotelli che continua da anni a non spiegarsi come, di fronte a questo cataclisma ambientale, gli studenti napoletani se ne stiano rintanati nelle loro scuole e nelle loro università, senza proferir parole.
Cosa ci è successo? Cosa è successo al nostro popolo?

Perchè stiamo diventando così TRISTI?

Non è per caso che ho scelto per nome Oblomov, il celebre protagonista del romanzo di Gončarov, da cui Nicola Dobroliubou coniò il termine oblomovismo. Come ho scritto nel mio profilo infatti, ipotizzo, con l'intento di essere smentito, che esistano tratti comuni tra questo idealtipo russo e una certa passività partenopea. Azzardo addirittura la provocatoria ipotesi che ogni napoletano porti dentro di sé questo demone pronto a prendere il sopravvento ogniqualvolta se ne offra la possibilità...: l'altra faccia, oscura e terribile - ho scritto -, del pensiero meridiano, presente in tutti noi.
Per non sentirmi in compagnia di Calderoli e Borghezio, però, e per evitare quel genere di osservazioni supponenti che feriscono forse ancora di più, quando prevengono da giornalisti portatori di argomentazioni “razionali” come Gian Antonio Stella (va bene Bassolino, però:...anche voi napoletani...!), ho messo giù la maschera di Oblomov e sono andato a riprendere Spinoza. Quello riletto da Deleuze. Sapevo con sicurezza di non trovare qui nessun “paradiso abitato da diavoli”, nessun riferimento a tare antropologiche o “culturali”, nessun demone oblomoviano pronto a prendere il sopravvento. Finalmente un po' di aria fresca, lontano dagli umori tossici di questo periodo.
Spinoza è il filosofo dell'innocenza. Cerca di non instillarci inutili sensi di colpa. Deleuze nelle sue lezioni sul filosofo dell'”Etica” fa un esempio illuminante in merito alla vecchia storia del peccato e della mela: non lo abbiamo capito subito, ma in fondo si è trattato soltanto di un colossale fraintendimento da parte di Adamo! Il nostro progenitore sbagliò, non perchè disobbedì al volere del Creatore, ma perchè equivocò il senso della sua raccomandazione. “Dio non ha mai vietato nulla ad Adamo – scrive Deleuze -, ma gli ha invece donato una rivelazione. L'ha avvisato dell'effetto nocivo che la mela avrebbe avuto sulla costituzione del suo corpo”. Il male per Spinoza infatti non è altro che un cattivo incontro, una cattiva combinazione tra il nostro corpo e quello di un altro. Quando incontriamo corpi con cui ci componiamo bene, proviamo gioia, se invece la combinazione è sbagliata, allora subentra la tristezza. Nel primo caso aumenta la nostra potenza di agire (e di vivere), nel secondo diminuisce. Non abbiamo alcun destino o nessuna natura da cui iniziare il nostro cammino: gettati nel mondo, siamo destinati ad infiniti incontri, che possono produrre tristezza o gioia (più tardi Freud parlerà di Eros e Thanatos). Davanti a noi: l'avventura del nostro divenire...

A questo punto vi chiederete che “c'azzeccano” Spinoza e Deleuze con i rifiuti tossici... Niente naturalmente! C'entrano però con la signora bionda che abbiamo incontrato qualche rigo più sopra, con i contadini che avvelenano le nostre tavole, gli studenti chiusi nelle loro scuole, con i nostri amministratori. E naturalmente con i colpevoli per eccellenza: ...quelli del “sistema”.
Tutti colpevoli? Nessun colpevole!
E' la notte - diceva Hegel - in cui tutte le vacche sono nere! In cui è difficile distinguere una cosa dall'altra. La notte in cui viene meno ogni legittimo criterio di giudizio.
Troppo comodo!
Allora prendiamo un'altra strada: quali incontri, quali combinazioni sbagliate hanno prodotto questo disastro? Da quali nuove e inedite combinazioni è possibile ripartire alla ricerca della Gioia e della Vita, buttando a mare la Tristezza?